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RDC.La guerra dimenticata


Ci sono guerre che entrano nelle nostre case, nei nostri uffici, nelle nostre automobili attraverso giornali, telegiornali, radio e applicazioni per i cellulari. Ce ne sono altre, invece, di cui si parla assai poco o affatto. Sono le guerre ignorate dai media, come ci ha ricordato non più di due settimane fa l'ultimo rapporto dell'Osservatorio permanente delle crisi dimenticate curato da Caritas Italiana, Famiglia Cristina, Pax Christi e il Regno.

Proprio dalle guerre dimenticate voglio partire per parlare di un conflitto riesploso e quasi ignorato mentre celebravamo la giornata mondiale dei diritti dei bambini e quella contro la violenza sulle donne. Si tratta del conflitto riaccesosi la scorsa settimana in Repubblica Democratica del Congo e che rischia di essere lungo e micidiale per migliaia di civili indifesi, particolarmente per donne e bambini. Quella in Congo è forse la più brutale delle guerre dimenticate con un numero di morti che ha superato i 5 milioni, a cui va aggiunto un numero elevatissimo di sfollati. In un comunicato stampa rilasciato ieri dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati si parla di 110.000 sfollati solo nell'area di Goma nell'ultima settimana.

Da quasi vent'anni è in corso in Nord e in Sud Kivu una guerra "diffusa", in cui in un contesto caratterizzato da profonde fragilità, il conflitto armato rappresenta una escalation. Diverse ragioni geopolitiche, economiche, finanziarie fanno sì che la guerra in queste regioni rimanga marginalizzata dai media.

Il nord est della Repubblica Democratica del Congo è una terra ricchissima - di oro, diamanti, petrolio, uranio e coltan, il minerale raro più ricercato dalle industrie elettroniche per i microchip di computer e cellulari – e bellissima, con una natura lussureggiante e rigogliosa di foreste vergini dove vivono gli ultimi gorilla di montagna. È troppo facile presentare il conflitto in Kivu come una guerra etnica, una fratricida lotta tribale interna. L'esacerbarsi dell'opposizione etnica, che è reale, nasconde il motivo fondamentale: la lotta, non certamente solo interna, per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie. E certo che fintanto che non ci sarà un accordo di pace che includa norme che mettano fine allo sfruttamento illegale dei minerali, il conflitto continuerà a riesplodere.

A Goma, capoluogo del Nord Kivu, al confine col Ruanda, lunedì scorso è successo il finimondo e ora, da 8 giorni, tutta l'area è sotto controllo dei ribelli del Movimento del 23 marzo.
Il VIS è a Goma dal 2003 per affiancare il lavoro dei Salesiani di Don Bosco nel Centro Educativo di Ngangi frequentato normalmente da 3300 bambini e giovani in condizioni di povertà e vulnerabilità

Da 8 giorni il Centro di Ngangi ha aperto le aule, i capannoni della scuola professionale, i saloni multifunzionali, i campi sportivi, i porticati per accogliere una fiumana di più di 10.000 donne, uomini, bambini in fuga.
Dopo il vertice tenutosi a Kampala, Uganda, lo scorso fine settimana, la situazione è molto precaria. A Goma si vive col fiato sospeso dopo lo scadere dell'ultimatum dato dai paesi della regione dei Grandi Laghi all'M23 per il ritiro delle milizie e la cessazione delle ostilità. Le accuse a Ruanda e Uganda di sostenere i ribelli per interessi commerciali fanno temere per il peggio.

Sul piano umanitario, le preoccupazioni maggiori riguardano le condizioni igienico-sanitarie e la fornitura di acqua potabile, resa ancora più difficile per l'assenza di corrente elettrica e l'impossibilità di utilizzare sistemi di pompaggio. I volontari del VIS sono in prima linea, insieme con i Salesiani di Don Bosco e gli insegnanti, educatori e personale locale, nel censimento dei nuclei familiari, nell'individuazione dei bambini e degli anziani denutriti, nell'identificazione dei bambini soli e a rischio di essere arruolati dai gruppi armati, nell'assistenza sanitaria, installazione di cisterne per l'acqua, distribuzione di cibo. Nei primi giorni 10.000 sfollati sono stati sistemati a Ngangi in tutti gli spazi disponibili, ora, anche grazie alla collaborazione di altre organizzazioni e ONG internazionali, sono state montate tende e installate delle latrine aggiuntive.

La scorsa settimana mentre decine di migliaia di civili indifesi cercavano riparo e protezione dalla violenza, abbiamo celebrato la giornata mondiale per i diritti dei bambini e la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. E allora non fermiamoci alle celebrazioni: per coerenza e per responsabilità accendiamo un riflettore su questo conflitto e informiamo l'opinione pubblica italiana e mondiale sulle sue cause e sulla condizione della popolazione congolese vittima di questa nuova ondata di violenze. Noi non possiamo restare a guardare.

Fonte: L'Unità Articolo di Carola Carazzone - 30/11/2012