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Unicef : Nel mondo esistono almeno 230 milioni di bambini "inesistenti"


In questi giorni siamo tutti colpiti e increduli davanti al fatto che oltre un milione di bambini nel nostro Paese vive in povertà. Abbiamo letto il rapporto di "Save the Children" e proviamo vergogna che ciò avvenga nel nostro Paese. Ma proprio oggi, qui al Palazzo di Vetro dell'Onu, ci rivelano che al mondo esiste qualcosa di ben peggiore, incredibile nei nostri giorni. Se noi scopriamo che i nostri bambini soffrono, lo scopriamo perché sappiamo della loro esistenza, immaginatevi se nessuno sapesse che esistono, se fossero entità senza documenti, senza un nome e un indirizzo ufficiale. Chi potrebbe difenderli? Eppure è quel che succede in milioni di casi.

Incontrando la stampa a New York, il direttore esecutivo dell'Unicef, Geeta Rao Gupta e la specialista di statistiche Claudia Cappa hanno rivelato che in questo nostro amaro pianeta esistono almeno 230 milioni di bambini "inesistenti". Perdonatemi il gioco di parole. E' inevitabile: sono bambini nati, che crescono, hanno un nome, dei genitori, magari anche una casa, ma nessuno sa che esistono. E questo perché non sono stati registrati all'anagrafe e non hanno ricevuto un certificato di nascita. Il certificato di nascita è forse il documento più importante che un essere umano possegga: serve a sposarsi, prendere la patente, il passaporto, serve a viaggiare, serve a esistere in modo attivo e fruttuoso nella nostra società. Eppure, l'anno scorso, solo il 60 per cento dei neonati è stato registrato. E siccome ciò succede nei Paesi più poveri o nei Paesi meno liberi, ne consegue che le associazioni internazionali non possono aiutare questi bambini. Come vaccinarli, come portarli a scuola, come proteggerli da matrimoni infantili, da schiavitù, dall'essere arruolati come miniguerrieri, se nessuno dei soccorritori sa che esistono?

"Registrare un bambino alla nascita e ottenere un certicato che attesti l'avvenuta registrazione – spiega la dr.ssa Cappa - sono gli atti necessari per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei bambini. "Le ragioni di questa sconfinata ingiustizia sono tante: il fatto che spesso i genitori vivono in zone rurali, per cui arrivare fino alla più vicina città per registrare il neonato è impresa difficilissima. Il fatto che in alcuni Paesi una madre non sposata non ha il diritto di registrare un bambino (e così si punisce sia la donna peccatrice che la sua prole). Il fatto che i genitori hanno paura che il bambino possa subire discriminazioni razziali (succede spesso fra i profughi). L'Unicef fortunatamente sta elaborando una serie di iniziative, compreso la denuncia delle nascite via telefono, per aiutare ad abolire questa ignominia dei bambini che non esistono. A complicare le cose, infatti, si aggiunge che talvolta i genitori registrano il bambino, ma non chiedono prontamente il certificato. Quindi non esiste prova che la registrazione sia avvenuta. Nei nostri Paesi, forniti di vasti sistemi efficienti se non già digitalizzati, il problema non esiste, ma in Paesi dove tutto ancora si fa su carta e solo in alcuni luoghi lontani e centralizzati fare o ottenere un certificato può essere difficile se non quasi impossibile.

In Zambia ad esempio i certificati di nascita vengono rilasciati da entità statali, con una procedura lunga mesi. In Eritrea costa quanto una settimana di salario di un contadino. In Myanmar tutti i certificati di nascita vengono distrutti dopo due anni. Ho parlato brevemente con la dr.ssa Cappa, che confessa la difficoltà di far capire come dietro ai numeri, alle statistiche, ci siano storie umane che è difficile riassumere nella loro tragicità: "Un bimbo senza un certificato è invisibile davanti la legge – ci ricorda - e per questo puo' facilmente diventare vittima di traffici di minori o di adozione illegale." Ma quel che è più grave e lacerante e che non può che colpirci tutti profondamente nel nostro sentire di esseri umani è che "una madre che non puo' provare l'esistenza dei proprio figli non sarà neanche in grado di proteggerli in caso di bisogno".

Fonte: www.ilmessaggero.it/blog/anna_guaita - 14/12/2013